Dal 14 al 19 maggio al Teatro Franco Parenti di Milano ci sarà “Per amore dell’Amore”. La nostra intervista
Il ritorno in Francia perché in Italia gli censuravano le canzoni, l’opera rock con Ivan Graziani, la radio – come conduttore pioniere a Radio Montecarlo e Rete 105 e autore dell’ultima intervista a Luigi Tenco -, i rifiuti rianimati come scultore: Herbert Pagani era un universo infinito.
A raccontarcelo in questa intervista è l’attrice, cantante e autrice Caroline Pagani che debutterà in prima nazionale il 14 maggio al Teatro Franco Parenti di Milano con lo spettacolo-concerto “Per amore dell’Amore. Herbert Pagani: Musica, Poesia, Arti visive“, dedicato al fratello.
Caroline, diretta da Giuseppe Marini e accompagnata al pianoforte da Giuseppe Di Benedetto, racconta il poliedrico “cantapittore” che cantava con la penna e disegnava con la voce e che faceva danzare insieme musica, prosa, poesia, canzone, radio, scenografia, scultura, pittura e teatro.
Lo spazio scenico dello spettacolo-concerto-mostra è un’isola-spiaggia e il suo atelier d’artista di Milano, con relitti restituiti dal mare, proiezioni video con dipinti, disegni, scenografie e sculture, le “pattumiere di Nettuno” da cui sono nate le sue “città celesti”, coloratissimi ammassi di vetri, legni, plastiche, che fuoriescono da casse trasparenti.
Lo spettacolo mostra un ritratto a 360 gradi dell’attività artistica di Herbert Pagani, dalla pittura alla scultura, dalla canzone alla radio, visto attraverso gli occhi della sorella da bambina. I biglietti sono disponibili online.
In occasione del debutto, martedì 14 maggio, uscirà anche il singolo di Caroline Pagani “Palcoscenico“, ambientato a Venezia, città-palcoscenico per eccellenza: anticipa il doppio album “Caroline per Herbert” con le più belle canzoni del fratello, inediti in italiano, in francese e in spagnolo, testi in prosa e poesia, ospiti come Danilo Rea, Fabio Concato, Shel Shapiro, Giorgio Conte, Francesca Della Monica, Alessandro Nidi, Moni Ovadia e altri.
Come nasce l’idea di uno spettacolo-concerto per tuo fratello Herbert?
L’idea si realizza durante la pandemia ma era in incubazione da tempo. Negli anni sono stati fatti vari omaggi, spettacoli, concerti, tributi, nessuno di questi ha secondo me colto appieno e restituito la natura poetica, estetica, di contenuti e formale di ciò che ha prodotto. Nel mio spettacolo cerco di dare un ritratto il più possibile completo dell’artista, per quanto sia possibile nel tempo di uno spettacolo, o meglio della sua attività, dando spazio, oltre alle canzoni, alle opere d’arte, alla radio, agli scritti, al pensiero.
Come Herbert incoraggiava la tua vocazione da attrice?
Portandomi a teatro, incitandomi a seguire ciò che mi faceva stare bene, che mi dava gioia, a essere onnivora, a disegnare, a recitare, a coltivare la manualità, a fare, a fare cose con le mani, disegni, dipinti, e soprattutto a imparare da sola, a non fare la subordinata e a non avere padroni, a essere maestra di me stessa.
Cosa conterrà invece il disco?
E’ un doppio album e contiene 24 tracce, 19 musicali e 5 in prosa e poesia, è composto dalle sue più belle canzoni, in italiano e francese, con qualche inedito, da brani che trattano della musica, dell’amore fra genitori e figli, della pace, della vita.
Cosa faranno gli ospiti nel disco?
Alcuni accompagnano al pianoforte, Danilo Rea ha fatto uno splendido accompagnamento di Albergo a ore, il più bell’accompagnamento di questa canzone che abbia mai ascoltato, ne sono stati fatti tanti, molti per piano solo fino alle versioni rap, ma il suo è magico, ti cala subito in un’atmosfera, la canzone è interpretata da me, poi ci sono altri accompagnamenti per pianoforte, quelli di Alessandro Nidi, uno più bello dell’altro, poi ci sono Fabio Concato, Shel Shapiro, Giorgio Conte, Moni Ovadia, Emanuele Vezzoli, Francesca Della Monica, con cui mi sono preparata vocalmente, gli ospiti cantano e alcuni leggono e interpretano dei pezzi in prosa.
Perché hai scelto proprio “Palcoscenico” come singolo di questo viaggio musicale?
Perché è un pezzo di teatro sul teatro, mi piace molto, mi ci ritrovo e riconosco, è allegro, ed è sempre attuale, anche nei suoi aspetti dissacranti purtroppo. Purtroppo perché è una canzone che irride alle convenzioni del nostro mestiere, perché parla anche delle insidie del mondo dello show business, “Questo è un mestiere da puttane” dice il discografico al cantante in Palcoscenico, cose che spesso si sentono dire ancora oggi anche le attrici. “Palcoscenico” è anche il titolo di un suo album. Si tratta di un brano che esprime una forma molto originale di teatro-canzone, che combinava la musica con la pittura e con il cinema. Ho girato un video per la canzone “Palcoscenico” che vuol essere anche un omaggio alla vita degli artisti, è ambientato in un teatro all’italiana e a Venezia, città che forse più di ogni altra può essere considerata come un palcoscenico all’aperto.
Come scultore, Herbert era praticamente un artista attivista per l’ambiente ante-litteram?
Non esattamente, direi che la sua era arte anche ecologista, ecologicamente responsabile, è un’arte anche legata alla scultura, assemblage e art du recyclage, recupero, riciclo, si tratta di un’arte che dà valore a ciò che noi buttiamo, che consideriamo vecchio o inutile, ai relitti restituiti dal mare o dalle discariche. I protagonisti, gli attori, sono questi oggetti della terza età, scartati, buttati, assemblati e rianimati in un caos gioioso. Siamo di fronte a un Teatro della natura. Riscattati dall’anonimato dello scarto e del consumo urbano, i rifiuti sono elevati al ruolo di primi attori di una commedia, spesso drammatica, ma sempre permeata di humour. Con Man Ray Herbert pensa che il fine ultimo dell’artista sia il rimescolamento di tutte le arti e credo che la sua arte sia una lezione di libertà.
In che senso aveva previsto pandemie, guerre e cambiamento climatico?
Aveva composto un’innovativa opera rock che ebbe molto successo in Francia, “Mégalopolis”, poi presentata anche al Festival dei due mondi di Spoleto, ispirata a Medioevo prossimo venturo di Roberto Vacca. In Mégalopolis la tradizionale chanson française si contamina col rock e il progressive con il contributo di Ivan Graziani, è un romanzo sonoro e visione incredibilmente profetica della degenerazione del nostro sistema di vita ipertecnologico, parla di un mondo che si sta estinguendo a causa dell’inquinamento e dell‘iper tecnologia.
E’ ambientato in un’ipotetica Parigi di fine millennio, capitale di un’Europa Unita, completamente cementificata e popolata da una massa di consumatori acritici e soli, confinati in grattacieli e costretti a respirare dalle maschere a gas. Una minoranza combatte una ‘resistenza pacifica’, coltivando piante, allevando animali e insegnando ai figli a vivere “d’amore e di ossigeno”. Quando Mégalopolis collasserà, paralizzata da una catena di guasti, sarà questa minoranza a sopravvivere e a ricostruire il pianeta su basi più rispettose della natura.
C’è quindi una guerra e una resurrezione finale, che si esprime nella gioiosa, “La Primavera secondo la fine del mondo”. L’opera ebbe problemi serissimi di censura in quanto conteneva anche un dialogo tra il Papa e le anime dei morti ebrei sterminati durante l’olocausto dai nazisti. Si è sempre detto e pensato che forse il Papa di allora, Pio XII, non avesse fatto abbastanza per aiutare il popolo perseguitato.
Che rapporto aveva Herbert con la radio?
Con la radio aveva un rapporto intenso e molto creativo, è stato leggendario conduttore radiofonico e speaker degli anni più gloriosi di Radio Montecarlo, si è inventato delle trasmissioni come “Fumorama” a Radio Montecarlo e “Il disco tradotto” a Rete 105. Fu il primo a inventare quel format radiofonico poi ripreso dalla trasmissione “Alto gradimento”. Le sue trovate, i jingle, lo stile della sua conduzione, la modalità frizzante, effervescente, umana e sensibile al contempo (sua fu l’ultima intervista a Luigi Tenco), inaugurano tutto lo stile radiofonico moderno.
In Italia c’è forse una certa triste tendenza a dimenticarsi troppo in fretta dei propri artisti?
In Italia c’è una tendenza a non valorizzare chi fa arte, gli artisti interessanti e meritevoli, a puntare soprattutto sul mero e bieco commerciale, c’è la tendenza a farli fuggire. Herbert tornò in Francia perché la Rai gli censurava tutte le canzoni, dopo una lunga battaglia le cantò tutte, ma in Francia trovò sicuramente un pubblico già abituato e che apprezzava un certo tipo di canzone, in Italia in quel periodo andavano le canzonette (spesso anche ora) di solo intrattenimento e commerciali.
Al di là delle tematiche, poi, i testi di Pagani si inserivano in un’altra controversa dialettica che allora caratterizzava la musica leggera italiana, quella che contrapponeva la ricerca poetico-letteraria delle canzoni ‘alternative’ al linguaggio povero e banale, tipico di quelle di consumo. La matrice letteraria che sta alla base dell’eleganza formale e dei contenuti delle sue canzoni è francese, l’ispirazione francofona non era solo uno sguardo gettato oltre confine, ma rifletteva una forte identificazione biografica e culturale, è in Francia che si è formato, dov’era considerato “il più italiano dei cantautori francesi”. Le sue canzoni, che uniscono una naturalezza vera a una fattura squisita, sono sincere e profonde, e questo a quei tempi poteva arrecare disturbo, anzi era disturbante.
Lo spettatore italiota come poteva sopportare riferimenti al suicidio e all’adulterio? Che canti per i cani abbandonati e rinchiusi nei canili (Concerto per un cane), che invochi l’attenzione su Venezia che affoga, o sul buco dell’ozono, che irrida alle convenzioni del suo stesso mestiere (Palcoscenico), o che descriva le nostre ferite profonde, in difetto di radici lui si è costruito delle ali.